Ci scusiamo con i nostri lettori se per alcuni giorni L’Informazione non è stato presente. Un problema tecnico non ci ha consentito di uscire regolarmente. Adesso che vi abbiamo posto riparo, cercheremo di essere più puntuali ed efficienti di prima. Lo dobbiamo a chi ci segue con affetto ed attenzione, compresi coloro che in questi giorni ci hanno contattato per chiedere notizie del giornale.
Tante le notizie che, in nostra assenza, si sono susseguite nel panorama informativo nazionale ed internazionale: fra Putin, Draghi, Calende, terzi poli, incendi ed uragani vari, tre i fatti che ci hanno particolarmente colpito.
1) La motivazione della sentenza d’Appello sul processo Trattativa Stato-mafia che ha assolto (“il fatto non costituisce reato”) i “soggetti istituzionali” accusati in primo grado di avere intavolato la trattativa con Cosa nostra dopo le stragi del 1992 che fecero a pezzi Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte: il senatore Marcello Dell’Utri, fondatore di Forza Italia, e i generali dei Carabinieri Mario Mori e Antonio Subbranni (12 anni in primo grado), assieme al collega Giuseppe De Donno (8 anni). Unici colpevoli, i boss Leoluca Bagarella (27 anni) e Antonino Cinà (12).
2) La candidatura alla presidenza della Regione Sicilia di Renato Schifani, uomo di Berlusconi, dopo la defenestrazione da parte della coalizione di destra del presidente uscente Nello Musumeci.
3) La decisione della Camera dei rappresentanti americana di dare l’esempio al resto del mondo in merito all’emergenza climatica con un mega finanziamento di 369 miliardi di dollari – proposto dal Presidente Biden – che ha il fine di invertire la rotta sull’emissione dei gas serra del 40 per cento.
Veniamo al punto 1. Praticamente la Corte di Assise di Appello di Palermo ha smontato la sentenza di primo grado dicendo che “i soggetti istituzionali” di cui sopra hanno sì intavolato la Trattativa con Cosa nostra – sul piano giudiziario ampiamente provata –, ma per “ragioni di interesse nazionale”, cioè per evitare altre carneficine dopo quelle del ’92, in cui furono trucidati i due magistrati assieme alle loro scorte. Infatti le stragi continuarono con maggiore virulenza anche nel ’93, sia contro la gente comune (decine le persone uccise), sia contro il patrimonio storico del Paese.
Non a caso l’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, in un articolo sul Fatto quotidiano critica i colleghi magistrati (definiti nel titolo “prestigiatori di sentenze”) che hanno emesso il verdetto, dicendo che è stato “giustificato un passato di convivenza”, dato che “si normalizza la cultura dell’omertà con un ritorno a trent’anni fa”.
Praticamente l’ex procuratore generale afferma che questa sentenza legittima “il patto di coesistenza pacifica fra mafia e Stato che aveva caratterizzato tutta la storia della Prima Repubblica”, che i boss hanno ritenuto “tradito” dopo le condanne esemplari del maxiprocesso, in cui Falcone e Borsellino avevano avuto un ruolo fondamentale.
Addirittura – scrive Scarpinato – “inspiegabilmente” nelle 2971 pagine della motivazione, la Corte “non spende un solo rigo” sui tanti fatti che riguardano sia la stessa Trattativa, sia le stragi Falcone e Borsellino, che dell’argomento trattato sono parte integrante. Perché?
È questa parola, “perché”, ad assillare le coscienze di molti italiani sulle “assoluzioni” politiche ed istituzionali che hanno caratterizzato gli anni della Prima Repubblica, da Portella della Ginestra a piazza Fontana, da Capaci e via D’Amelio alla stazione di Bologna, passando per gli omicidi Moro, Mattarella, La Torre, dalla Chiesa, Chinnici, Terranova, Costa, e tanti altri.
Perché non è stato “speso un solo rigo” sulla sottrazione dell’Agenda rossa di Borsellino da parte di certi apparati dello Stato o sul falso pentito Scarantino (costruito a tavolino, secondo la sentenza di Caltanissetta dagli investigatori della strage di via D’Amelio, in primis l’ex procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tinebra, e l’ex capo della Squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera), o sui motivi che hanno portato Giovanni Brusca a sciogliere nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo (11 anni) dopo che la mamma del bambino, Franca Castellese, implorò il marito, il pentito Santino di Matteo, a non fare i nomi “sulle accertate e vive preoccupazioni di Borsellino (è sempre Scarpinato che parla) nei confronti degli uomini del Sisde”, in merito al coinvolgimento della strategia stragista e ai delitti eccellenti. Perché – incalza l’ex procuratore generale – nelle motivazioni della sentenza non si fa cenno alle “sollecitazioni” ricevute dal capomafia di Alcamo, Vincenzo Milazzo, di unirsi alla strategia stragista, provenienti da uomini dei servizi segreti alla “presenza di un colletto bianco che è stato identificato”? Chi è costui? Perché i giudici della Corte d’Assise d’Appello – a parere dell’alto magistrato – non ne parlano?
Nel suo lungo intervento, Scarpinato si spinge oltre, e dalla semplice critica passa ad un vero e proprio attacco nei confronti dei colleghi, dichiarando che non facendo riferimento a queste e a molte altre circostanze fondamentali all’accertamento della verità, il processo Trattativa si è svuotato delle responsabilità istituzionali ed è stato ridotto ad una sorta di “regolamento di conti” fra l’ala militare di Cosa nostra e “lo Stato” (quale Stato? Quello di Falcone e Borsellino o quello di Giulio Andreotti?), “protagonista esemplare” delle condanne del maxiprocesso (sappiamo come andò in Cassazione, quando, attraverso una raffinata strategia messa a punto dalla parte sana delle istituzioni, la sentenza fu confermata, dopo la sottrazione della stessa al giudizio di Corrado Carnevale).
Addirittura – secondo l’ex procuratore – la morte di Borsellino non viene collegata alle notizie sulla Trattativa che lo stesso magistrato aveva appreso poco prima di essere ucciso, e sui motivi che spinsero i mafiosi a premere il telecomando della strage di Capaci, di cui Paolo era entrato in possesso, ma ad una indagine su mafia e appalti portata avanti dal magistrato, certamente importante, ma secondaria rispetto al contesto stragista di quel momento.
Ma vi è di più. Scarpinato – in riferimento alle stragi – parla di una informativa risalente al 1993 che parla di “soggetti” diversi, ma convergenti, tutti, in determinati “interessi particolari di un unico progetto complesso”. Dietro agli esecutori mafiosi – si legge – ci sono menti dotate di “dimestichezza” col terrorismo, “con i meccanismi della comunicazione di massa” e con “una capacità di sondare gli ambienti della politica e di interpretarne i segnali”.
Dal 1993 si sa che la Seconda Repubblica è stata eretta sulle ceneri della Prima grazie a questi elementi essenziali: mafia, terrorismo, servizi segreti deviati e pezzi dell’informazione. Un quadro attualissimo, quello delineato da Scarpinato.
Che porta al punto 2. Ovvero alla candidatura alla presidenza della Regione dell’ex Capo del Senato, Renato Schifani, uomo di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell’Utri (quest’ultimo condannato definitivamente a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa). Attualmente Schifani è imputato a Caltanissetta per rivelazione di segreto nel processo contro l’ex presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Calogero Montante. La sua storia è stata segnata da un paio di indagini per presunti rapporti con la mafia (una riguarda la torta di oltre 100 miliardi di vecchie lire per la metanizzazione di Palermo), conclusi entrambi con un’archiviazione per prescrizione. Commenti lusinghieri da parte dell’ex presidente della Regione Totò Cuffaro (condannato definitivamente per favoreggiamento aggravato alla mafia, e leader della Nuova Dc), “Schifani è una personalità dotata di grande senso delle istituzioni e collaudata esperienza politica”, e del successore di Cuffaro, il fondatore del Movimento per l’autonomia, Raffaele Lombardo (assolto in secondo grado dall’accusa per concorso esterno in associazione mafiosa), che lo definisce “figura autorevole”. Non pervenuta – secondo Repubblica – la posizione su Schifani dell’avversaria di quest’ultimo, Caterina Chinnici, candidata del centrosinistra alla Presidenza della Regione Sicilia. Ci auguriamo – scrive il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari – che dopo ferragosto la figlia del magistrato ucciso in via Pipitone Federico batta un colpo. Sono passati cinque giorni e non abbiamo sentito particolari fragori.
Ma noi vogliamo consolarci col punto 3. Una legge approvata dalla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti (secondi per inquinamento dopo la Cina) che prevede lo stanziamento di 369 miliardi di dollari per ridurre l’emissione dei gas serra entro il 2030. Non siamo ancora all’optimum auspicato da scienziati ed ambientalisti, ma si tratta comunque di una decisione che segnala un’inversione di tendenza rispetto alla politica di Trump che fino a qualche anno fa negava perfino l’esistenza dell’effetto serra.
Post scriptum: ci sarebbe un punto 4 che ci ha colpito in questi giorni: la morte di un grande Maestro del giornalismo e della comunicazione, Piero Angela: ne hanno parlato tutti sicuramente meglio di quanto avremmo fatto noi, quindi preferiamo seguirne l’esempio, piuttosto che aggiungere altre parole.
Luciano Mirone
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