“Vecchi racconti e ricordi belpassesi”, è l’ultimo libro di Nino Prastani, giunto alle settima pubblicazione, oggi dedicata a “fatti e personaggi d’altri tempi” che “raccoglie racconti rimasti per molti anni nel cassetto e descrizioni riguardanti alcuni personaggi belpassesi del passato dei quali si conserva l’indelebile ricordo”. Non a caso, l’autore “costruisce” la copertina raffigurando il simbolo dei personaggi d’altri tempi: quel Peppi ‘i Malpassu che camminava scalzo e girava col violino, di cui a Belpasso si parla ancora, malgrado Peppi sia scomparso molti decenni fa. Duecento pagine che si leggono tutte d’un fiato, compresa la prefazione di Vito Sapienza che scrive: “Se questi Racconti – rivolti ad anziani, meno anziani e giovani – risultano coinvolgenti, gran parte del merito è della scrittura, agevole e snella”, poiché “scopo di Nino Prastani è quello di gettare un ponte fra passato e presente: non per giudicare, ma per conservare”. In questo libro si racconta l’anima di un paese, contenuta nei personaggi descritti dall’autore. Una galleria di dolcissima umanità che attraversa il secolo scorso e arriva fino a noi, che oggi abbiamo il dovere di diffondere e valorizzare attraverso la tutela della memoria di cui Prastani, con quest’opera, è straordinario testimone. (l.m)

Quello che segue, un capitolo del libro:

Lo scrittore Nino Prastani. Sopra: la copertina del libro 

Don Pasquale Crispino era il formaggiaio di Belpasso. La sua rivendita era situata all’angolo di Nord-Est dell’incrocio tra la Via Roma e la Via Decima Traversa, dove erano esposti  i latticini maturi e pronti per lo smercio al minuto.

La gran parte dei prodotti, che Don Pasquale curava personalmente per la stagionatura, erano custoditi nel deposito situato a poco più di cinquanta metri ad Est della rivendita, nella Via Prima Retta di Levante.

L’ampio magazzino era un unico ambiente situato al pianterreno. Vi si accedeva dal pesante portone di legno dotato di una chiusura metallica apribile per mezzo di una robusta chiave dentata che Don Crispino portava sempre con sé.

Quando si fermava al deposito per curare i formaggi,  accostava il portone, lasciandolo in una posizione che dall’esterno lo faceva sembrare chiuso.

Vi rimaneva per ore a rigirare le forme di pecorino pepato, sulle quali era stata spalmata una miscela di cenere bianca e sale, che necessitava di continue ripassate a mani nude dopo che la posizione di ciascuna forma era stata capovolta.

Tale lavoro era molto impegnativo, considerato anche il gran numero di forme da curare. Le ore trascorse a cospargere il miscuglio di sale e cenere erano tante e il continuo contatto con le pesanti forme trasmetteva al corpo e ai vestiti di Don Pasquale un odore così forte da essere avvertito a distanza, malgrado il furmaggiaru si lavasse e cambiasse i vestiti ogni settimana, prima di recarsi dal barbiere che aveva la sala all’angolo di Nord-Ovest opposto a quello della sua bottega.

Ci andava ogni domenica solo per farsi sbarbare, poiché i suoi capelli completamente bianchi crescevano così lentamente da richiedere il taglio solo ogni due o tre mesi.

In quest’occasione si faceva lavare anche la testa e per quella domenica evitava di ritornare al magazzino per la cura dei formaggi che avrebbe ripreso a partire dall’indomani.

Durante il tempo trascorso all’interno del magazzino poteva capitare che passasse Peppi ‘i Malpassu per chiedergli un soldo che Don Pasquale gli regalava volentieri.

Il sempliciotto, che andava in giro sempre scalzo, provava a spingere il portone del magazzino. Nel caso si fosse aperto era segno che all’interno c’era il furmaggiaru.

Peppi entrava pronunciando il suo nome ad alta voce, riceveva la “donazione”, ringraziava e riguadagnava l’uscita contento e soddisfatto.

Un giorno don Pasquale si trovava nel magazzino per il solito lavoro. La moglie, che di solito rimaneva a vendere il formaggio nel negozio di Via Roma, aveva avuto bisogno di assentarsi ed aveva incaricato il giovane figlio Nino, divenuto totalmente cieco da qualche anno, di avvertire gli eventuali clienti che sarebbe quanto prima rientrata.

Il giovane aveva avvisato un paio di avventori, ma quando comprese che l’ultimo presentatosi era interessato ad acquistare un’intera forma di pecorino, pensò bene di andare a chiamare il padre e, aiutandosi con il bastone da cieco, percorse il breve tratto di strada fino al magazzino ed avvisò don Pasquale, il quale dimenticò di chiudere a chiave il portone prima di raggiungere il negozio.

Mentre Don Pasquale Crispino mercanteggiava con il cliente nel negozio di Via Roma, Peppi ‘i Malpassu arrivò davanti al magazzino, provò a spingere il portone che si aprì all’istante, entrò e riaccostò l’anta cominciando a chiamare il furmaggiaru che non rispondeva.

Dopo averlo cercato nella zona dove di solito il proprietario curava il formaggio, Peppi si mise a gironzolare per tutto il magazzino, fino a quando non arrivò davanti agli scaffali sui quali era stata sistemata la ricotta preparata al mattino. Il sempliciotto non seppe resistere e cominciò a gustare il pregiato prodotto ancora tiepido.

Quando don Pasquale ritornò e trovò il portone aperto, credendo che fosse stato forzato e che dentro ci fossero ancora i ladri di cui lui aveva avvertito il rumore, indietreggiò, chiuse a chiave la robusta apertura e corse a chiamare i Carabinieri che intervennero tempestivamente.

Il Sottufficiale e Don Pasquale entrarono e trovarono Peppi, il quale aveva già ingurgitato un bel quantitativo di ricotta che mostrava di continuare a gustare. Quando il sempliciotto li vide, espresse loro un ampio sorriso di soddisfazione e poi, rivolgendosi al militare con un gesto della mano che ruotava mimando apprezzamento per la bontà del prodotto, gli disse: «Ma ‘chi ricotta, Briaderi!»

Redazione