Il giorno 2 del mese di maggio dell’anno del Signore 2024, il Consiglio comunale di Belpasso (Catania), con voto unanime di 16 consiglieri su 16, prende atto del “fallimento politico” (definito così in aula, e non solo) in merito al vecchio Piano regolatore generale (Prg), che da ora in poi si chiamerà Piano urbanistico generale (Pug), come prevede la nuova legge regionale 19 del 2020, e sancisce che in fondo, sull’argomento, in tutti questi anni, abbiamo scherzato. Quindi coraggio: palla al centro, la partita ricomincia.
Quanto la collettività dovrà aspettare per poter disporre di un nuovo strumento urbanistico per far rivivere un paese “desertificato” e ridotto a “dormitorio” (basta affacciarsi dal Palazzo di città dove si sta svolgendo questa seduta per vedere le tenebre della villa comunale), non è dato sapere.
Quel che è certo è che ieri sera il sindaco Carlo Caputo ha dovuto ammettere (senza ammetterlo neanche a bassa voce) che l’intero iter che lui stesso ha messo in piedi nel 2013 e che il suo successore Daniele Motta ha proseguito nel 2018, è crollato sotto i colpi incessanti dei fatti. È stato il rappresentante dell’opposizione Salvo Licandri a ricordarglielo e il vice presidente del Consiglio, Emanuele Carciotto, a rincarare la dose: “La sua parte politica è la più disfattista della storia della Dc”. Perché Carciotto cita la Dc? Non lo spiega. Poi aggiunge: “Ricordo in campagna elettorale, sindaco, quando andava nelle frazioni a promettere i Piani di recupero”. Quindi: “Sul Pug spero che si possa fare un Consiglio comunale aperto”. Proposta caduta nel vuoto.
Sostiene il sindaco… “Quando nel lontano 1993 fu approvato il Piano regolatore, io non ero neanche in Consiglio comunale”. In realtà, in quegli “anni ruggenti”, Caputo era un ragazzino e non poteva conoscere le gesta delle fatidiche Giunte dei geometri che demolivano i palazzi più belli del centro storico, progettavano l’abusivismo in periferia, preparavano le sanatorie edilizie e nel frattempo scalpitavano in attesa che l’architetto Francesco Lima (cugino del famoso Salvo Lima: sì proprio l’ex sindaco di Palermo, che in una lontana notte degli anni Sessanta aveva rilasciato oltre 3 mila licenze edilizie per demolire le ville liberty più belle della Piana dei Colli per far sorgere dei palazzoni di dodici piani) redigesse il Piano regolatore di Belpasso per liberare, finalmente, le aree edificabili dei soliti noti.
Sostiene Caputo… “Quel Prg ha scomposto e smontato la scacchiera, cioè la storia di Belpasso. Non più isolati di 50 metri per 50, ma di 80 per 80”. Poi la solita stoccata nei confronti dei “giornalisti del tempo che attaccavano i conflitti di interessi del progettista Lima” (cosa assolutamente falsa: gli attacchi a Lima riguardavano il fatto che egli si fosse prestato a certi interessi della politica), ma se serve a preparare l’assunto successivo (di cui parleremo dopo), che ben venga.
Quando dal 2003 al 2013 il sindaco lo fa (anzi lo rifà, dopo la parentesi degli anni Ottanta-Novanta) l’ingegnere Alfio Papale, Carlo Caputo diventa consigliere comunale, e poi assessore e infine vice sindaco.
Sostiene Caputo… In quei dieci anni in cui al Comune c’ero io, la colpa non è stata mia se “il Prg non è stato cambiato di una virgola”, ma di altri, e se in quel decennio lui non ha mai pronunciato una sola sillaba (almeno in pubblico) contro i Signori del Cemento, meglio cambiare discorso. Certo, magari ripartendo da quel fatidico 2013, quando Papale si dimette per candidarsi alle elezioni regionali e al municipio arriva il commissario regionale Roberto Sajeva. Il quale, constatato che a Belpasso c’è un Piano regolatore scaduto “soltanto” da dieci anni, istituisce un bando per la nuova stesura, al quale partecipa il meglio dell’urbanistica italiana. La gara se l’aggiudica l’architetto Leonardo Urbani, autore di tanti Piani importanti e di altrettanti testi di urbanistica nei quali studiano gli studenti universitari. Affidare il Prg a un luminare? Non scherziamo! Quando nel giugno di quell’anno, Caputo si insedia come sindaco, revoca immediatamente il Piano a Urbani e lo affida all’Ufficio tecnico comunale, dotato di bravi professionisti, ma assolutamente sprovvisto di mezzi per stilare un atto complesso come uno strumento urbanistico. Ma siccome allora va di moda la fatidica frase inglese spending review, che in italiano vuol dire revisione della spesa pubblica, ma che sostanzialmente significa che bisogna contenere i costi, Caputo tira fuori dal cilindro la trovata di risparmiare, ma solo sul Piano regolatore. Se lo sperpero riguarda altro, nessun problema. Un paio di esempi: centinaia di migliaia di Euro per un parcheggio diventato misteriosamente “il presidio dei Vigili urbani meno presidiato al mondo” (per usare una frase dell’ex segretario del Pd Nunzio Distefano), argomento tabù su cui nessuno ha mai inteso andare fino in fondo, e un mancato introito di circa 500 mila Euro l’anno per le casse comunali per la misteriosa (ma non tanto) “non istituzione” della Farmacia comunale. Solo due esempi.
Sostiene Caputo… “Urbani aveva ottant’anni ed era di Palermo. Un giorno nella mia stanza, per conto dell’urbanista, si presentarono due professionisti di San Gregorio, in provincia di Catania (in realtà erano due collaboratori catanesi del professore, recatisi dal sindaco per prendere i primi contatti, n.d.r.). La cosa mi soffiava strana (testuale, ndr.) e così revocai l’incarico al tecnico palermitano”. “Anche perché – sostiene sempre Caputo – Urbani era un privato”. Come Lima. E i privati, secondo il suo assioma, sono portatori di interessi. Quindi il Piano regolatore viene assegnato all’Ufficio tecnico, che però “deve” essere coordinato da un tecnico esterno (quando si dice… la coerenza). Ovviamente pagato con soldi pubblici. Caputo rispolvera la frase del Vangelo “gli ultimi saranno i primi” ed affida l’incarico al professionista che nel bando di Sajeva si era classificato ultimo. Risultato: solo un Progetto di massima partorito nel 2017 e un sacco di errori, a cominciare dalle piazze scambiate per aree a verde. Motta ripete lo schema del predecessore, si limita a cambiare il “coordinatore”, ma la musica rimane sempre quella, compresa la demonizzazione in Consiglio comunale del Comitato spontaneo per il Pug (“fortemente politicizzato perché composto da ex candidati a sindaco e da portaborse”), che si era permesso di proporre una seduta del civico consesso da dedicare al Piano urbanistico “aperta al contributo dei cittadini e delle associazioni”.
Sostiene Caputo… E’ stato un errore, con i soldi del Pnrr, riservare un’area comunale alla realizzazione del Bosco Sciaraviva: con quei denari si sarebbe dovuto istituire il Parco delle Torrette chiesto a gran voce dalle associazioni: avremmo dato gli indennizzi ai proprietari dei terreni che dal 1993 aspettano di costruire, dato che le loro superfici si trovano in zona edificabile. Peccato che una parte di quell’area era stata lottizzata negli anni precedenti e lui, mentre prometteva, non informava i cittadini del “piccolo” contrattempo. Battuta di Licandri: “La storia spesso ci aiuta, ma la storia spesso si insabbia. Signor sindaco, nove anni messi da parte in un sol colpo”.
Sostiene Caputo… Si sta realizzando il Bosco Sciaraviva ma rimpiango la non realizzazione del Parco delle Torrette. Il Comune, a tal proposito, sostiene sempre il sindaco, potrebbe espropriare Villa Rapisarda ed il terreno adiacente: il Parco, secondo me, potremmo farlo lì. Licandri ribatte: in questi nove anni, di soldi per lo strumento urbanistico ne sono stati spesi tanti, senza che si sia cavato un solo ragno dal buco.
A questo punto – aggiungiamo noi – sarebbe cosa buona e giusta che venga quantificato il danno. Magari in nome della spending review.
Luciano Mirone
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