Nel giorno del trentaduesimo anniversario della strage di Capaci, i progressisti di Paternò – Pd, M5S e Verdi, riuniti compattamente per la prima volta dopo le elezioni amministrative di due anni fa – chiedono agli organi competenti che venga fatto un accesso in municipio per verificare la regolarità degli atti amministrativi, specie sul presunto rapporto fra la mafia locale e l’Amministrazione comunale presieduta dal sindaco Nino Naso, inquisito per voto di scambio politico-mafioso (il pm Ignazio Fonzo aveva chiesto l’arresto, poi rigettato dal gip) e, in caso di elementi oggettivi sfavorevoli all’Amministrazione, lo scioglimento del Consiglio comunale. Una richiesta “benedetta” da Milano da Salvatore Borsellino (fratello del giudice Paolo), invitato ma impossibilitato ad essere a Paternò: “Aderisco alla vostra iniziativa – ha scritto nel suo messaggio il leader del movimento delle Agende rosse – . La vostra rabbia è anche la mia e il mio cuore sarà con voi laddove le mie gambe non mi consentono di essere”.
Nel giorno del trentaduesimo anniversario della strage di Capaci, il sindaco di Paternò grida che “la mafia fa schifo”, lo ripete dal palco mentre gli alunni delle scuole celebrano l’evento, fa affiggere uno striscione sul balcone del Comune, dove a caratteri cubitali si legge lo stesso slogan coniato anni fa dall’ex presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro, poi condannato a sette anni per favoreggiamento a Cosa nostra.
Nel giorno del trentaduesimo anniversario della strage di Capaci, Paternò diventa “caso” nazionale, sia perché è feudo del presidente del Senato Ignazio La Russa, sia perché questa giornata coincide con i burrascosi eventi verificatisi all’interno del Consiglio superiore della magistratura sulla nomina del nuovo procuratore della Repubblica di Catania che dovrà sostituire Carmelo Zuccaro, oggi procuratore generale del capoluogo etneo: secondo le indiscrezioni fornite dal Fatto quotidiano (poi smentite dallo stesso La Russa anche a questo giornale), il presidente del Senato avrebbe fatto sentire il suo condizionamento al Csm per evitare la nomina di un magistrato integerrimo come Sebastiano Ardita (escluso dalla corsa): adesso per quella poltrona sono in lizza in due, Francesco Curcio, procuratore di Potenza, e Francesco Puleio, procuratore aggiunto di Catania.
Nel giorno del trentaduesimo anniversario della strage di Capaci c’è la netta sensazione che a Paternò, come in molte parti d’Italia, il sacrificio di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, degli agenti della scorta e di tutte le altre vittime della mafia sia stato vano: il pensiero comune che circola soprattutto a destra (ma anche in certi settori della sinistra) è che non basta la “vicinanza” con le organizzazioni mafiose per fare un passo indietro in politica, ma bisogna superare i tre gradi di giudizio per allontanarsene, a dispetto della distinzione fatta da Borsellino tra l’etica dei comportamenti e i reati penalmente perseguibili. Il magistrato assassinato in via D’Amelio faceva sempre l’esempio del politico amico dei boss: “La vicinanza con Cosa nostra – diceva – non è un reato, ma è un fatto politicamente censurabile, i partiti devono darsi queste regole e fare pulizia al loro interno”.
Dopo la stagione memorabile del dopo stragi coinciso soprattutto con la gestione intransigente della sindaca Graziella Ligresti, a Paternò sembra di essere tornati alla fine degli anni Ottanta, quando i sindaci negavano l’esistenza di Cosa nostra anche di fronte all’evidenza. Memorabile un’intervista rilasciata al giornalista de La Sicilia dall’allora sindaco Nello Scaccianoce: “Ma che mafia e mafia? L’attentato di ieri sera? Ragazzi che giocano”. E intanto la gente moriva per strada anche durante i festeggiamenti della patrona Santa Barbara.
Oggi il sindaco ha un altro nome, ma i sistemi sembrano rimasti più o meno quelli: Naso non nega l’esistenza di della mafia, però dice che fa schifo. Una frase che fa il paio con “la mafia è una montagna di merda” usata ormai da certa politica ansiosa di lavarsi la coscienza con gli slogan. Delle due l’una: o la Procura di Catania ha preso un abbaglio oppure Naso vuol creare confusione.
Intanto al dibattito sulla “legalità” organizzato dall’Amministrazione comunale presso la biblioteca Giovan Battista Nicolosi non è passata inosservata l’assenza (annunciata attraverso una locandina) dell’ex magistrato di Cassazione ed ex pretore di Paternò Domenico Platania. Si dice che le locandine in realtà fossero due: una con il nome del magistrato, l’altra senza. Alla fine, comunque, l’ex pretore non si è presentato.
A pochi metri di distanza – a Palazzo Alessi, sede del municipio – i Progressisti cercano di raccogliere i cocci delle ultime amministrative per ripartire. La coalizione Pd-M5S e Verdi/Sinistra sembra ancora ammaccata dopo i duri colpi subiti. Cerca di ripartire dalla “questione morale”, termini ripetuti spesso assieme ad “etica”, “trasparenza” e “legalità”. A tenere banco i relatori Enzo Guarnera, presidente dell’associazione Antimafia e legalità (organizzatore del sit in dell’altro ieri davanti al Palazzo di giustizia di Catania per chiedere al Csm un procuratore fuori dai giochi politici) e Adriana Laudani, presidente dell’associazione Memoria e futuro (protagonista anche lei di mille battaglie politiche e giudiziarie, a cominciare dal processo per il delitto del giornalista Giuseppe Fava). Lo spunto è stato dato dal dibattito “Paternò non è cosa vostra” organizzato dai Progressisti – moderato da chi scrive su invito degli organizzatori – , con chiaro riferimento alle ultime vicende accadute in città.
Presenti Giovanni Burtone ed Ersilia Saverino (deputati del Pd), Martina Ardizzone (deputata del M5S), Mauro Mangano (ex sindaco di Paternò), assieme ai militanti delle rispettive formazioni politiche e a diversi cittadini comuni. Assente Anthony Barbagallo (segretario regionale del Pd), rimasto a Palermo per il comizio della segretaria nazionale Elly Schlein. Tutti d’accordo nel dire che bisogna ripartire dalla “questione morale” (Laudani e Guarnera), tutti d’accordo nel dire che bisogna accendere le luci sul Comune di Paternò con un’indagine ispettiva e chiedere, se dovessero emergere “rapporti anomali”, lo scioglimento del Consiglio comunale (Giancarlo Ciatto), tutti d’accordo nel dire che, prima di guardare in casa altrui, bisogna guardare in casa propria facendo una seria autocritica degli errori commessi, specie sulla questione morale, sennò si rischia di diventare funzionali a un sistema corrotto e mafioso (Ersilia Saverino).
Tutti d’accordo nel dire che non bisogna disperdere il patrimonio di valori lasciato da Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Pio La Torre e Piersanti Mattarella, o alle mille battaglie sulla “politica pulita” del Movimento 5 Stelle.
Tutti d’accordo su tante cose, ma domani è un altro giorno. E non ci saranno commemorazioni da fare.
Luciano Mirone
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