Egregia presidente del Consiglio Giorgia Meloni, egregio ministro per le Infrastrutture Matteo Salvini, egregi parlamentari della maggioranza di centrodestra, se è vero che la politica è l’arte del dialogo (anche e soprattutto con chi non la pensa come noi), è anche vero che stabilire la condanna a 25 anni di carcere nei confronti di chi protesta contro le Grandi opere ha il fine (neanche edulcorato come si sta tentando di fare per la separazione delle carriere dei magistrati o per il premierato “forte”) di uccidere il concetto di democrazia che nei Paesi civili esiste fin dall’antica Grecia e che nel nostro ordinamento si manifesta attraverso la Costituzione, sia quando si parla del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21), sia quando si parla del diritto di scioperare (art. 40).
È dei giorni scorsi la notizia di un emendamento al Disegno di legge “Sicurezza” presentato in Parlamento dalla Lega (firmatario il deputato Igor Iezzi), che mira a portare ad un quarto di secolo la condanna nei confronti di chi dissente pubblicamente contro la realizzazione di una grande opera decisa dal Governo.
Venticinque anni. Più di chi commette una rapina a mano armata (condanna da sei a vent’anni di reclusione, con una multa che va da due a quattromila Euro), più o meno quanto viene previsto per un omicidio (a seconda del tipo di delitto), un po’ meno se l’omicidio è caratterizzato dall’aggravante mafiosa o dalla strage, molto ma molto di più di chi (personaggio politico) si macchia del grave reato di concorso esterno in associazione mafiosa (Dell’Utri se l’è cavata con soli sette anni) o di favoreggiamento alla mafia (Cuffaro: sette anni anche per lui).
Ora si dà il caso che la “grande opera” vagheggiata dal Governo Meloni sia soprattutto il Ponte di Messina, che nelle due sponde dello Stretto molti non vogliono. Non per capriccio o a causa di una frangia di fanatici, ma perché – in base a uno studio condotto dal mondo accademico e da vari scienziati di fama nazionale ed internazionale – Messina e Reggio Calabria hanno capito che le criticità di una infrastruttura come questa sono talmente tante che il Ponte, per loro, si rivelerebbe un danno. Non è un peccato pensarla così, non si commette reato. È soltanto un’opinione. E secondo la Costituzione è un’opinione che può essere manifestata pubblicamente.
Non è questa la sede per spiegare i gli “effetti collaterali” alle quali si andrebbe incontro con la realizzazione di quest’opera (questo giornale lo ha fatto varie volte e il lettore può benissimo fare una ricerca): quel che interessa, adesso, è cercare di comprendere qual è il concetto di democrazia dei nostri governanti.
In questa storia che riguarda il Ponte sullo Stretto ci sono due parti: le popolazioni rivierasche dei due lembi di Sicilia e di Calabria che si oppongono all’infrastruttura e un Governo che vuole imporla a tutti i costi. In un Paese normale si dialoga: se l’opera viene vista positivamente dagli abitanti si realizza, in caso contrario se ne prende atto e si decide di conseguenza. Realizzarla con la forza è un atto antidemocratico.
In un Paese democraticamente “ibrido” come l’Italia – dove a parole si parla di “democrazia”, ma dove il dissenso, in certi casi, viene represso immotivatamente col manganello – si sventolano condanne a venticinque anni di carcere per “avvisare” l’opinione pubblica che sulle Grandi opere non si transige: si calano dall’alto senza discutere, a prescindere dalle esigenze delle popolazioni locali.
Si può anche comprendere che in taluni casi le proteste possano essere strumentalizzate da certe frange estremiste che si oppongono a qualsiasi cosa, si può anche comprendere il fatto che il progresso debba andare avanti, ma non si comprende affatto la proporzione fra la pena e l’eventuale reato, non si comprende l’applicazione di una coercizione come questa perpetrata nei confronti dei boy scout, delle casalinghe, delle persone comuni che manifestano pacificamente (come nel caso di Messina, di Reggio Calabria e di Villa San Giovanni), perché ritengono che l’opera costituisca un grave nocumento ambientale, economico e sociale.
Mentre finora il messaggio che questo Governo ha cercato di far passare sul concetto di democrazia è stato piuttosto ambiguo (sì-siamo-di-destra-però-siamo-contro-la-guerra-e-dialoghiamo-con-le-grandi-democrazie-mondiali), questo emendamento non solo frantuma il concetto di ambiguità, ma dimostra una mancanza di senso della politica che dovrebbe essere espresso attraverso il dialogo sereno e democratico.
E’ bene che voi, egregi esponenti del centrodestra lo comprendiate subito se volete continuare a governare, prima che lo comprenda la gente, che già lancia i primi segnali di stanchezza.
Nella foto: un corteo di protesta a Messina contro la realizzazione del Ponte sullo Stretto
Luciano Mirone
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