In Sicilia piove fuoco da sei o sette mesi, ininterrottamente, e quando non piove fuoco piove fango, ma tutto scorre come sempre, in un’attesa più o meno cosciente della prossima catastrofe, magari una frana, un’alluvione, un uragano, un tornado.

In Sicilia piove fuoco ed io scrivo queste poche righe mentre vedo quella nebbiolina sottile  e rossastra che non è nebbiolina, ma fuliggine di polvere, di terra e di sporcizia, e in lontananza sento il fragore di un tuono e vedo il bagliore di un lampo, ma senz’acqua, come se il cielo volesse dire che soffre.

In Sicilia succede quello che gli scienziati prevedono da decenni, una “desertificazione” che sta avanzando a ritmi velocissimi, che noi scambiamo per “fenomeno naturale” e che purtroppo secondo loro andrà avanti, ma non si deve dire, sennò c’è il rischio di passare per “apocalittici”. Meglio minimizzare o negare o magari prendersela con “i cicli del sole”, mai con le stoltezze umane.

Un fenomeno mai verificatosi in tempi così lunghi (almeno a memoria di chi scrive). Una volta (tre o quattro anni fa al massimo), quando pioveva quella mistura di acqua e di sabbia del Sahara trasportata dal vento, durava un paio di giorni, poi la pioggia lavava tutto. Gli antichi la chiamavano “livantata”, una pioggerellina sottile che durava anche quindici giorni e rigenerava la campagna.

Adesso non è così. E’ come se la febbre avesse contagiato il pianeta e noi, minuscoli esseri dell’universo, non siamo neanche capaci di rivolgerci al cielo con deferenza per invocare l’acqua, come quando Dio o la Natura erano al centro di tutte le cose visibili e invisibili e il danaro non era concepito per illuderci di poter comprare perfino Dio e la Natura.

Adesso non guardiamo con indifferenza, come una volta, le previsioni del tempo, specie quando dobbiamo prendere un aereo e il meteo passa da un’allerta caldo a un’allerta temporale (laddove per “caldo” si possono intendere anche 50 gradi e “temporale” una tempesta capace di inghiottire tutto). 

In Sicilia piove fuoco, ma la Sicilia è soltanto la metafora (ricordate la Lombardia di qualche anno fa, con il Po ridotto ai minimi termini oppure l’aria condizionata nei negozi di New York a gennaio) di un pianeta che si sta squagliando e liquefacendo sotto la violenza inaudita del fuoco, dell’acqua, dell’aria e della terra. Continuiamo a stanziare miliardi per curare il sintomo o magari per lavarci la coscienza dal senso di colpa che non può non attanagliarci quando vediamo la distruzione della foresta amazzonica, lo scioglimento dei ghiacciai, gli incendi furiosi che distruggono i nostri boschi, le cementificazioni che avanzano e divorano grandi superfici coltivabili. Ma non facciamo niente per cambiare noi stessi, eppure basterebbe un po’ di semplicità in più, e meno bramosia di denaro. 

In Sicilia piove fuoco e i potenti non se ne avvedono. E neanche noi, presi dalle luci fantasmagoriche dei centri commerciali, dalle diavolerie delle chirurgie estetiche, dallo spettacolo televisivo dei bombardamenti, delle minacce atomiche, degli sbarchi dei migranti. Siamo troppo presi dai “capolavori della politica” per poter vedere che l’eterna guerra fra Bene e Male è arrivata al dunque. 

Dalla terra è tutto ed io continuo a scrivere queste righe sperando che quella nebbiolina sottile e rossastra si diradi e che un giorno o l’altro arrivi una bella “livantata” per far sorridere la natura. 

Intanto spero che qualche pronipote, un giorno, possa leggere questo articolo e sapere che nel lontano Ventunesimo secolo non tutti hanno marciato verso la direzione della follia.

Luciano Mirone