“Se i lettori troveranno che la nostra penna scrive con il fiele, ricordino che essa è invece inzuppata di lacrime amarissime”. Con questo filo di malinconia, Nino Martoglio presentava il primo numero del suo D’Artagnan ai lettori, consapevole che quell’avventura giornalistica gli avrebbe attirato le simpatie del popolo illuminato, ma anche i fortissimi odi della politica affaristica della Catania di fine Ottocento e inizio Novecento.

E quando un giorno, nei pressi della villa Bellini, lui incontrò Giovanni Verga che gli recitò a memoria una frase contenuta nell’ultimo numero del D’Artagnan, si precipitò in redazione e scrisse: “Questo episodio mi ripaga delle tante amarezze subite”. Ovvero: oltre duecento querele, ventuno duelli e l’opposizione della famiglia della fidanzata (una ragazza dell’aristocrazia catanese perfettamente inserita nel sistema) a unirsi in matrimonio con una “testa calda” e “socialista” come lui.

Ha ragione il Maestro. Dietro a un giornalista che racconta la verità, c’è sempre una penna piena di lacrime. Perché la verità – come diceva Russel – è rivoluzionaria. E le rivoluzioni, da che mondo è mondo, non sono indolori, comportano lacrime e a volte, purtroppo, anche moltissimo sangue.

Il Premio letterario intitolato a Martoglio, che sabato 12 ottobre 2024, alle 18, il Circolo Femminile Athena di Belpasso consegnerà al sottoscritto presso il Teatro comunale a lui intitolato, unitamente al giornalista del Corriere della Sera Felice Cavallaro per il romanzo “Francesca” (dedicato a Francesca Morvillo, moglie di Giovanni Falcone), e alla scrittrice Arianna Mortelliti per l’altro romanzo “Quel fazzoletto color melanzana” (oltre che a Videobank e alla Redi Orchestra Jazz), è un riconoscimento che rompe un “muro” lungo cento anni.

La stessa sorte di Martoglio, sia durante il fascismo che dopo, sarebbe capitata a diversi altri intellettuali uccisi dal potere, prima fisicamente, poi infinite volte moralmente. Da Amendola a Gobetti, da Pasolini a Fava, l’elenco è lunghissimo.

Chi vive in Italia (soprattutto in una regione del Sud ad alto tasso di mafia e di corruzione) può capire. Qui non c’è soltanto il pericolo che ti accoppino per un articolo sgradito. La realtà è molto più complessa. Perché qui, se ti metti contro il potere che fa affari e comanda, ti metti contro buona parte di una comunità (anche perbenista) che col potente ci campa o comunque ci vuole convivere tranquillamente. Ecco allora che scattano i veti, le censure, le cattiverie, i tentativi di denigrazione e di isolamento.

Il “nemo propheta in patria” di cui parlano gli antichi, non è una massima qualsiasi. Essa evidenzia i meccanismi psicologici nei confronti del “compatriota” che, pur mettendosi brillantemente in evidenza altrove, in “patria” viene boicottato per una serie di dinamiche negative, di cui l’invidia, spesso, è l’elemento importante, ma nel caso di Martoglio siamo abbondantemente “oltre”, perché quando c’è di mezzo l’impegno civile e politico, per giunta “contro” il sistema, scattano le “convergenze” pericolose.

Martoglio nel 1902 – dopo avere “asfaltato” il potere conservatore attraverso la satira pungente del D’Artagnan – divenne consigliere comunale socialista del più grande sindaco di Catania, Giuseppe De Felice. Due anni dopo dovette scappare definitivamente da Catania (“città infida nella quale non metterò piede mai più”) per andare definitivamente a Roma: troppo onesto e intransigente per potere rimanere all’ombra dell’Etna.

Ma nel ’21 – con il fascismo alle porte – i conti vennero chiusi definitivamente: il ritorno forzato a Catania, il ricovero del figlio all’ospedale Vittorio Emanuele, la messa in scena della morte “accidentale”, la barzelletta della tromba di un ascensore mai esistito, un depistaggio politico in piena regola ed una serie di incredibili menzogne raccontate ai posteri: il gioco, per oltre cento anni, è stato perfetto.

Questo Premio vale tanto. Innanzitutto perché demolisce coraggiosamente quel “muro” di omertà, di falsità e di impostura, poi perché viene consegnato nella “patria” di Martoglio (il commediografo nacque a Belpasso il 3 dicembre 1870), infine perché quella “patria” è anche la mia (e anche quelle “lacrime amarissime”).

Marinella Bragaglia, una delle più grandi attrici del teatro siciliano diretto da Nino Martoglio

Ed è bello che tutto questo sia riconosciuto da un’associazione di donne. Il parallelismo non è casuale. Martoglio fu il primo regista siciliano ad immettere la componente femminile sul palcoscenico. In una Sicilia nella quale per una donna era “vergogna” fare teatro, lui scoprì, plasmò e lanciò talenti come Marinella Bragaglia, Mimì Aguglia, Virginia Balistrieri, Rosina Anselmi e tanti altri.

Sì, questo parallelismo non è casuale. Ecco perché questo Premio voglio dedicarlo alle donne che hanno il coraggio di rompere i “muri”.

Luciano Mirone