Osservate questa foto. E’ la dimostrazione plastica del rapporto fra incendi, speculazione edilizia, disastro ambientale e rischio alluvioni. Siamo a Messina. Guardate i palazzi costruiti sulla montagna e nell’alveo del torrente (e vi assicuriamo che questa foto fa una panoramica assolutamente incompleta dello scempio ). In questa città esistono oltre cinquanta torrenti asciutti per gran parte dell’anno: quando scoppia un temporale si gonfiano e portano giù tutto, fino al mare: perfino esseri umani. Alcuni anni fa la furia delle acque ha travolto degli extracomunitari, ripescati alcuni giorni dopo nel mare di Giardini Naxos, a circa sessanta chilometri di distanza. ma siccome si è trattato di extracomunitari, tutto è stato rimosso subito.
Ebbene: pensando che i torrenti rimarranno asciutti “vita natural durante”, a Messina hanno pensato di costruirci dentro. Cosa? Interi quartieri, palazzetti dello sport, facoltà universitarie, tanto per evitare l’antipatica diceria che i disastri ambientali li provoca solo la plebaglia in stato di necessità. Qui è diverso: nella terza città siciliana, sia nei letti dei torrenti, sia sulle montagne costruiscono tutti, il proletariato e la borghesia, senza differenze di classe.
Il fuoco fa paura, ma mentre negli Stati più civili fa solo paura per i danni che provoca, qui è catartico perché soddisfa gli appetiti di molti. Gli alberi che stanno bruciando si sono formati nel corso dei secoli e sono stati l’unico baluardo contro le frane e le erosioni. Il fenomeno che si scorge a occhio nudo è questo: il cemento tende a salire, il bosco tende a diventare deserto, con la conseguenza che il “deserto” costa poco e ci puoi pure costruire sopra. Per questo la “catarsi”, dalle nostre parti, è sacra… ed anche fruttuosa.
Un fenomeno del genere non è causato dallo “spirito santo”, ma da una folle alleanza fra certa politica e i cittadini comuni: la prima ci lucra, i secondi riescono ad ottenere un diritto come se fosse un favore, che bisogna ricambiare al momento delle elezioni.
Se domani (speriamo mai) Giampilieri o Sarno o le Cinque Terre dovessero ripetersi in queste zone colpite oggi dagli incendi, non prendiamocela con il caso, guardiamoci allo specchio. Per una volta facciamo le persone serie e prendiamocela con noi stessi.
Ecco perché l’altro giorno abbiamo scritto che “i piromani siamo noi”, noi che dal dopoguerra abbiamo prodotto solo disastri: primo fra tutti, aver votato una classe politica indegna di un paese civile. Messina in fondo è solo la metafora di questa Italia sgangherata che sta finendo in cenere o che crolla a pezzi.
Luciano Mirone
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