“A me piace il Sud” di Alessandro Cannavale e Andrea Leccese (prefazione di Franco Arminio – Armando editore) è un libro crudo, lucido, razionale che offre “riflessioni, interviste, e proposte sulla questione meridionale” (come si legge nel sottotitolo) mettendo a confronto il fenomeno di ieri con quello di oggi, le origini, la crescita, le responsabilità politiche che hanno portato un alto livello di sottosviluppo nelle regioni del Mezzogiorno. Proprio su quest’ultimo aspetto i due autori focalizzano la loro attenzione puntando il dito contro la corruzione politica e la mafia. Un volume da leggere per capire perché il Sud ha “meridionalizzato” l’Italia e sta “meridionalizzando” l’Europa. 

l.m.

Questo un estratto de “A me piace il Sud”:

Il quadro emergente dalla cronaca del coinvolgimento sempre più ampio di professionisti avvocati, giudici, commercialisti, bancari, ingegneri, architetti e geometri, nelle dinamiche economiche mafiose è il segnale della marcescenza attualissima di una fetta ampia di colletti bianchi, disposti a fiancheggiare e favorire, per ignobile profitto. La verità deve rimanere una stella polare, sempre, anche se offende più di qualcuno.

Come quella del pubblico ministero Nino di Matteo nel suo “Collusi”, che prova a rompere il “muro di colpevole disattenzione sul tema delle collusioni tra Cosa Nostra e i poteri che contano nella società”. La verità di una società inebetita, che non ha risorse ed energie per guardarsi allo specchio, con una mafia che ha fatto il salto di qualità e i migliori investigatori costretti a un “fastidioso senso di solitudine”. Pochi sembrano davvero comprendere il messaggio che proviene dal magistrato di Palermo: mafia e corruzione sono due facce di una medaglia che rappresenta un unico sistema criminale. Leggiamo ancora Di Matteo: “Cosa Nostra non verrà sconfitta in modo definitivo fino a quando ci sarà anche un solo mafioso che trovi in un esponente del potere istituzionale la disponibilità al compromesso”.

Alla necessità di definire strategie di contrasto al dilagare della costruzione dedica un recente lavoro anche Piercamillo Davigo, pm del pool Mani Pulite2. Rispetto ai tempi di Tangentopoli è cresciuta in modo allarmante la cosiddetta cifra nera del reato di corruzione (vale a dire la differenza tra numero di reati commessi e quelli risultanti dalle statistiche giudiziarie). Il numero di condanne, riporta Davigo, si è ridotto a un decimo, mentre secondo le statistiche di Transparency International, l’Italia presenta indici di percezione della corruzione molto alti. Per assurdo, la Finlandia, uno dei paesi a minor percezione di corruzione, presenta più condanne per corruzione rispetto al nostro paese. Oltre a descrivere i tratti salienti di questo reato, seriale e diffusivo, il pm pone in discussione gli effetti sulla realizzazione delle opere pubbliche. Nel testo vengono riportati dei dati che dimostrano l’inspiegabile (o spiegabile?) riduzione dei costi delle infrastrutture milanesi prima e dopo le indagini sulla corruzione: i lavori per la metropolitana passarono da 300-350 miliardi di lire al chilometro a 150- 250.

Davigo giunge a delle conclusioni allarmanti. Ad esempio, che in Italia “la principale attività della politica per oltre vent’anni non è stata quella di rendere più difficile commettere delitti di corruzione, ma quella di rendere più difficili indagini e processi su quei delitti”. La corruzione può considerarsi analoga al crimine organizzato e che sia oggetto di ingerenza da parte delle mafie, creando un sodalizio tra queste e i colletti bianchi, per convergenza di interessi. È anche un problema di selezione della classe dirigente, di dinamica interna ai partiti: “Si crea una situazione in cui io rubo; rubando compro tessere; comprando tessere ho maggior peso all’interno del partito, faccio eleggere i miei fedelissimi o comunque li faccio nominare in società o enti da cui proviene altro denari di tangenti, in un circuito perverso in cui le persone perbene contano sempre di meno e i farabutti sempre di più”.

Alessandro Cannavale – Andrea Leccese