La storia dell’infermiere siciliano che sull’ambulanza, durante il tragitto verso gli ospedali di Biancavilla e di Adrano (Catania), iniettava aria nelle vene dei poveri malati per farli morire in fretta, spiega, più di cento libri di sociologia, che la cattiveria umana, malgrado il progresso, il benessere e l’istruzione, è insita negli esseri immondi, che per danaro offrono l’anima al diavolo senza provare un briciolo di rimorso.
Trecento Euro a cadavere – secondo i magistrati di Catania – era il compenso che questo tizio riceveva per svolgere il suo compito. Non da gente qualsiasi ma dai clan mafiosi di Biancavilla e di Adrano. Trecento Euro a cadavere per incrementare il business del “caro estinto”, che si aggiunge a quello della droga, della spazzatura, degli appalti, della cementificazione selvaggia, portato avanti da Cosa nostra.
La vita di un uomo vale trecento Euro. Chissà chi, fra i cinquanta pazienti deceduti – tanti sono i casi sospetti su cui la Procura di Catania sta indagando – , si sarebbe potuto salvare, chissà chi avrebbe potuto continuare a vivere, chissà se fra questi c’erano giovani o addirittura bambini, chissà se qualcuna delle vittime – prima di morire – si è accorta di essere un diabolico strumento di morte e – con gli occhi – ha implorato disperatamente il suo carnefice a non azionare lo stantuffo, chissà quest’ultimo con quale stato d’animo è tornato a casa a guardare i propri figli?
Ma questa storia ci porta ad andare oltre la cattiveria di una sola persona. Ci induce a porci un paio di domande: e se al posto di quelle povere vittime ci fosse stato un nostro familiare o noi stessi? Una domanda che dovrebbe fare riflettere certa gente, portata a pensare che tutto sommato la mafia non è quell’organizzazione crudele capace di uccidere – per soldi – non solo chi la contrasta, ma anche la gente comune che si trova nel posto sbagliato, nell’ora sbagliata, con le persone sbagliate.
È una domanda che dovrebbe far riflettere certo perbenismo che al cospetto di atrocità del genere si gira dall’altra parte, vota per i collusi, o fulmina chi cerca di combattere Cosa nostra con un’esclamazione incredibile e terribile, “troppa antimafia”, collegando il “troppo” all’antimafia e non alla mafia, come se il problema fossero gli antimafiosi, non i mafiosi. La vicenda del barelliere di Biancavilla e Adrano fa pensare molto e chiama tutti noi ad esprimerci in modo chiaro e in prima persona, non a essere complici.
Luciano Mirone
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