Marisa Mazzaglia, lei recentemente è stata revocata dal governatore della Sicilia, Nello Musumeci, dalla carica di presidente del Parco dell’Etna. Stessa sorte è toccata contemporaneamente a Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, che fra l’altro nel 2016 ha subito un attentato mafioso.
“Consentitemi di esprimere solidarietà al collega Antoci. Conosco bene il lavoro che ha svolto e i rischi che ha corso assieme alla sua famiglia. Abbandonare il presidente del Parco dei Nebrodi, come è stato fatto dal governo siciliano e dai partiti politici (probabilmente il riferimento è alla non candidatura alle nazionali col Partito democratico, come precedentemente annunciato, ndr.), lo espone a notevoli rischi”.
Qual è il suo punto di vista su questa revoca?
“Quello di un presidente che ha quasi completato il suo mandato. Dico ‘quasi’ perché fra meno di un mese il mandato quinquennale sarebbe scaduto. Quello di Antoci fra otto. Credo che entrambi saremmo potuti arrivare alla naturale conclusione. Molto probabilmente questa revoca potrebbe avere un significato diverso”.
Quale?
“Se per la revoca di Antoci si è parlato di segnali dati alla mafia, per la revoca avvenuta sull’Etna il significato potrebbe essere diverso”.
Cioè?
“Una risposta a determinati poteri economici che ho contrastato”.
Musumeci dice che la legge dello spoils system gli consente di sostituire tutti i presidenti degli enti regionali nominati dal governatore precedente.
“Beh, il governo Crocetta ha fatto un’azione molto più forte nei confronti del Parchi naturali. Questi enti venivano da lunghi commissariamenti: il Parco dell’Etna, ad esempio, usciva da sei anni di commissariamento e da altri quindici spalmati in un trentennio. Crocetta ha inserito dei presidenti stabili che rappresentano il territorio. L’operazione che ha fatto Musumeci è esattamente l’inverso: attualmente tutti i Parchi siciliani sono commissariati, le 72 Riserve attendono di sapere quale sarà la loro sorte. Spero che il mio successore non sia il frutto di uno scambio elettorale, ma la sintesi di una buona competenza e di una comprovata relazione con il territorio”.
Anche lei, come Antoci, ha avuto a che fare con il problema dei pascoli abusivi e con le truffe all’Unione europea?
“Nel territorio del Parco ci sono oltre 2mila 300 ettari di lotti adibiti a pascolo concessi dall’Azienda foreste demaniali e dai Comuni di Bronte, Randazzo, Castiglione di Sicilia, Linguaglossa. Il Parco dell’Etna ha chiesto che prima della concessione al pascolo, venissero accertati i requisiti antimafia, in applicazione del Protocollo Antoci, che considero un documento estremamente positivo”.
Quali sono state le difficoltà maggiori che ha affrontato?
“Di integrare la macchina burocratica del Parco con il territorio: ho trovato un personale eccellente, molto preparato, ma forse troppo arroccato nelle proprie posizioni e soprattutto con poco contatto con la realtà. In ogni caso, abbiamo raggiunto dei traguardi straordinari”.
Può dirne qualcuno?
“Il riconoscimento dell’Unesco, che ha dichiarato l’Etna patrimonio dell’umanità; i finanziamenti europei che abbiamo speso interamente, i rifugi situati sul vulcano che abbiamo ristrutturato e dato in gestione, la ricostruzione della rete relativa ai sentieri, gli accordi con l’Università, i contatti con moltissime scuole e associazioni. Insomma, un intenso lavoro di rete con il territorio. E poi il monitoraggio di alcune specie faunistiche come il gatto selvatico e la coturnice, e floreali come i querceti”.
C’è un sogno rimasto nel cassetto?
“Il Mab Unesco (Man and the Biosphere): un riconoscimento internazionale avviato negli anni ‘70 allo scopo di migliorare il rapporto tra uomo e ambiente, promuovere lo sviluppo sostenibile e ridurre la perdita di biodiversità biologica e culturale. In pratica è il completamento del riconoscimento dell’Unesco”.
Può spiegare meglio?
“Finora è stata dichiarata patrimonio dell’umanità soltanto la zona A del Parco, la zona di massima protezione, ovvero i 19mila ettari della quota sommitale. Mi sarebbe piaciuto il riconoscimento dell’intera area etnea: i venti comuni che ricadono nel territorio del Parco, compresa Acireale e la Timpa, quindi Acicastello, Acitrezza, l’Isola Lachea, fino a Taormina. Non è un’astrazione, ma un modello di sviluppo sostenibile e raggiungibile attraverso i finanziamenti europei. Si sarebbe reso il mare più pulito attraverso il funzionamento dei depuratori, si sarebbe messa a regime la raccolta dei rifiuti dell’intera area, si sarebbe migliorata la qualità dell’agricoltura”.
Quali sono i vantaggi di un riconoscimento dell’Unesco?
“Intanto la visibilità a livello planetario, ma quando lavori a un Mab Unesco significa che puoi lavorare organicamente su una vasta area dal punto di vista dello sviluppo sostenibile: quindi blocco delle cementificazioni, consumo zero del suolo, trasporti e tanto altro”.
I venti sindaci del Parco come hanno reagito?
“Quando si è appresa la notizia del riconoscimento Unesco si è diffusa una grande euforia e una nuova consapevolezza per la ricaduta in termini turistici dell’intera zona. Quando si è cominciato a parlare di ‘cemento zero’ ho incontrato enormi difficoltà”.
In quali ambienti ha riscontrato maggiore sensibilità ambientale?
“Sicuramente nel mondo dell’associazionismo e della scuola, con cui si è avviato un rapporto molto intenso e bello. Andare a fare educazione ambientale dentro le aule, promuovere i grandi eventi con i ragazzi, con gli insegnanti, con il mondo associativo è stato davvero esaltante. È questo lo spirito del Parco: creare i presupposti perché vivano bene i turisti, ma anche le popolazioni del territorio”.
Luciano Mirone
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