Belpasso vagheggia la funicolare ma non riesce neanche a fare realizzare una adeguata segnaletica stradale su scala provinciale, parla di turismo ma non riesce ad approntare e a portare avanti un progetto organico che tenga conto delle sue molteplici risorse, teorizza la “sostenibilità ambientale” ma assiste con indifferenza alla cementificazione dissennata del suo territorio. Una contraddizione continua che da anni logora questa cittadina che potrebbe vivere di turismo – per la sua straordinaria posizione geografica fra l’Etna e la Piana di Catania – ma non riesce a fare il salto di qualità, perché ha perso i riferimenti di un tempo, con l’aggravante che è vittima dei suoi stessi mali.
Risultato: non solo non si attraggono turisti, ma non si frena la preoccupante “desertificazione urbana” in atto da decenni. È amministrata da giovani, che paradossalmente non fanno una politica per i giovani. I quali, per mancanza di spazi, sono costretti a trascorrere il tempo libero al centro commerciale, nei paesi vicini (meglio organizzati) o nel capoluogo.
Basta fare una passeggiata in qualsiasi stagione dell’anno per constatare il vuoto che caratterizza le vie, le piazze e la villa comunale, con la sola eccezione del ritrovo Condorelli che – grazie all’iniziativa privata del mitico Cavaliere e oggi del figlio Giuseppe – dà un tocco di vivacità alla parte nord del paese. Ma purtroppo una rondine non fa primavera… il resto continua ad essere vuoto.
La verità è che dopo l’era Martinez – un periodo che va dall’inizio degli anni Cinquanta a una parte del decennio successivo – la politica non è stata all’altezza di raccogliere quell’eredità. Grazie al “sindaco galantuomo” fu ricostruito il paese dopo una guerra devastante che l’aveva messo in ginocchio. Dal punto di vista aggregativo furono realizzati lo stadio e la villa comunale, dal punto di vista turistico l’ampliamento della strada per l’Etna, dal punto di vista dei servizi le poste, l’ammodernamento del municipio e dell’illuminazione pubblica, l’ampliamento del cimitero e tanto altro.
Ma era un’altra Belpasso. C’erano due banche volute dai “mastri” artigiani e dalla borghesia agricola (con il supporto della chiesa locale). C’era il Cavaliere Condorelli che – essendo dotato di uno straordinario intuito – aveva aperto la sua pasticceria proprio all’inizio della strada per l’Etna. C’era il Cavaliere Recupero – altro straordinario pasticcere – che all’Acquarossa (in prossimità della sorgente) aveva aperto un dancing dove si ritrovava l’elite di tutta la provincia. C’era il professore Giuseppe Sambataro, grande intellettuale, che con le sue idee messe in pratica anche da sindaco – purtroppo per poco tempo – proseguì efficacemente il progetto della zona industriale di Piano Tavola e allestì una serie di manifestazioni artistiche e culturali che attirarono visitatori anche da fuori regione. C’erano due squadre di calcio – il Belpasso e la Belpassese – considerate il fiore all’occhiello dello sport dilettantistico regionale, sia per i risultati conseguiti, sia per i vivai che – soprattutto quello della Belpassese – coinvolsero centinaia di ragazzi. C’erano due cinema al chiuso e due bellissime arene. C’era la Marcia longa. C’era tanto altro.
E ora? Martinez è un bellissimo ricordo che ormai fa parte del mito. Le banche sono state assorbite da altri istituti di credito. Il dancing del Cavaliere Recupero non esiste più, così come la sorgente dell’Acquarossa utilizzata per l’imbottigliamento privato. Il professore Sambataro – anche lui volato nel mito – politicamente ebbe poca vita, scalzato dai “giovani leoni” che nel frattempo avevano capito il gioco. Il calcio è finito con la chiusura risalente all’estate scorsa del Club Calcio Belpasso, figlio della fusione fra Belpasso e Belpassese.
Quando a un certo punto arrivò il Malpassoto Giuseppe Pulvirenti, il paese non riuscì a reagire culturalmente all’invasione di questo nuovo barbaro che dal suo buco nascosto nelle campagne dell’hinterland dava ordini ai suoi uomini. Il paese non poteva reagire perché non aveva gli anticorpi per farlo. E visse il paradosso di essere infastidito da chi denunciava la mafia e di stendere i tappeti rossi quando passavano il Malpassoto e i suoi sgherri. Non perché amasse quest’ultimo ed odiasse i suoi (sporadici) oppositori, semplicemente perché ha sempre amato la tranquillità, se vera o apparente non importa.
Nel frattempo, come dicevamo, erano arrivati i “vecchi leoni” della politica. E si è visto. Via i manufatti di antico pregio del centro storico, spazio alle palazzine di tre o quattro piani più mansarda. Un danno incalcolabile all’identità e alla bellezza che neanche i bombardamenti della seconda guerra hanno provocato. Poi è stata la volta dell’aggressione del territorio con capannoni e case abusive.
Un fenomeno, quest’ultimo, che ha dato vita ad un incremento demografico di migliaia di abitanti fuori dal centro abitato: persone senza strade e senza i servizi primari che hanno sempre lamentato un completo disinteresse o abbandono delle Amministrazioni avvicendatesi al municipio di Belpasso. Nel giro di qualche decennio si è passati da 11mila a quasi 30mila abitanti. Malgrado le nuove emergenze, il modo di concepire il rapporto con i tempi è quello di sempre. Mentre altrove si recita Brecht, a Belpasso impazza Cicca Stonchìti. E’ soltanto una metafora per dire che stare chiusi nella tradizione, senza aprirsi alle avanguardie, tarpa le ali, frena la crescita. Sarebbe bello se un giorno Cicca Stonchiti potesse convivere con Brecht.
Dire che manca una progettualità forse è scontato, ma è vero. Una progettualità che concepisca lo sviluppo e il cambiamento non solo attraverso la singola idea, valida per quanto possa essere. E’ indispensabile mettere insieme tante proposte (che partano dai cittadini) da coordinare e da finalizzare alla valorizzazione complessiva dell’intero territorio. Che è il centro storico ma anche le periferie, l’Etna ma anche la Piana, il turismo ma anche l’agricoltura, i giovani ma anche gli anziani, la zona industriale ma anche la zona artigianale, la funicolare ma anche la segnaletica stradale. E’ necessario pensare in grande.
Luciano Mirone
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