Commissione antimafia: “Non è mai emerso alcun rapporto tra le cure approntate a Bernardo Provenzano per il suo tumore alla prostata e il dottor Attilio Manca. L’intervento chirurgico subito dal latitante a Marsiglia – ove si recò in due diverse occasioni e cioè sia nel luglio che nell’ottobre 2003 – è stato ricostruito minuziosamente, quasi al minuto, con l’individuazione di tutti coloro che vi svolsero un ruolo – accompagnatori, soggetti che avevano prenotato le visite, personale medico e paramedico – e tra i quali non vi è l’urologo barcellonese”.
L’Informazione: La relazione fa riferimento al processo che focalizza l’attenzione sulla trasferta di Provenzano dalla Sicilia a Marsiglia per l’intervento chirurgico di cancro alla prostata. Su questo argomento la Commissione antimafia ha sentito i due magistrati che hanno svolto le indagini presso la Procura della Repubblica di Palermo: Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino, oggi alla Procura della Repubblica di Roma, alla quale – dopo le dichiarazioni dei pentiti – è stato trasferito il fascicolo sulla morte di Attilio Manca (recentemente da quegli uffici è partita una richiesta di archiviazione tuttora al vaglio del Gip). Sia i due magistrati, sia la Commissione antimafia, dunque, prendono come punto di riferimento quel processo, nel quale, effettivamente, non emerge il nome di Attilio Manca. A parte il fatto che l’indagine riguarda il versante della mafia palermitana che nel 2003 dà assistenza al boss corleonese, siamo sicuri che quel dibattimento non “cristallizzi” i fatti fino alla conclusione dell’iter processuale? Altri fatti importanti sono emersi successivamente. Quali? 1) Quattro pentiti hanno parlato di omicidio e non di suicidio di Attilio Manca; 2) Una intercettazione ambientale, che riprende la voce di Vincenza Bisognano, sorella del boss barcellonese Carmelo, la quale dice tre cose: Provenzano è stato davvero latitante a Barcellona, si è fatto curare da Manca, e lo ha fatto uccidere perché quest’ultimo ne aveva riconosciuto l’identità; 3) La testimonianza di Vittorio Coppolino, padre di Lelio (nelle scorse puntate abbiamo visto di chi si tratta), la prima persona che confida ai Manca che Attilio non si è suicidato ma è stato “suicidato”. Vittorio Coppolino – persona che fa parte del mondo ineffabile della “Corda fratres” dove boss di prima grandezza come Gullotti convivono con alti magistrati, uomini politici e stimati professionisti – non è un testimone qualsiasi: prima di tutto perché svela una circostanza in quel momento segreta come l’operazione di Provenzano a Marsiglia, e poi perché collega il nome del boss a quello di Manca. Questo dopo appena una settimana dal decesso del medico e dopo tre mesi dall’intervento di “Binnu ‘u tratturi”.
Commissione antimafia: “Pertanto, ammesso che il Manca si trovasse in Francia in uno o in entrambi i periodi in cui il latitante era a Marsiglia, tale coincidenza – di cui non vi è prova certa – è da sola inidonea a dimostrare l’esistenza di rapporti, diretti o indiretti, tra Manca e Provenzano”.
L’informazione: Se fosse stato accertato che Attilio Manca era “nel Sud della Francia” mentre Provenzano era sotto i ferri a Marsiglia, avremmo certamente parlato di semplice “coincidenza”. Ma il fatto non è “isolato” ed è inserito in un contesto particolare. Ed è questo contesto mai esplorato dagli inquirenti che l’Antimafia non descrive. Purtroppo la Commissione non cita (come è stato detto nelle scorse puntate) il falso rapporto del capo della Squadra mobile di Viterbo, Salvatore Gava. Non cita – o meglio lo fa, ma in modo superficiale – la telefonata che l’urologo, proprio in quei giorni, avrebbe fatto alla madre informandola di essere “nel Sud della Francia per assistere a un intervento chirurgico”. Non cita il fatto che la famiglia ha chiesto ai magistrati di Viterbo (non ottenendo risposta) l’acquisizione dei tabulati telefonici per accertare se il congiunto fosse davvero in Francia in quel periodo.
Commissione antimafia: “Si può aggiungere che nemmeno risulta, dalle complesse indagini svolte sul latitante, che… per curare il corleonese, la mafia palermitana abbia chiesto ausilio a quella barcellonese”.
L’Informazione: Basta leggere le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia per vedere se risulta o meno. Basta leggere i libri, gli articoli, gli atti processuali che si occupano dell’argomento per comprendere lo stretto legame che intercorre tra Cosa nostra barcellonese e Cosa nostra corleonese, sia per nascondere i latitanti più importanti, sia per pianificare uno dei fatti più eversivi dell’Italia repubblicana: la strage di Capaci. Basti pensare che nella città messinese è stato costruito il telecomando dell’eccidio che ha fatto a pezzi Giovanni Falcone, la moglie e i componenti della scorta, consegnato al boss corleonese Giovanni Brusca dal capomafia barcellonese Giuseppe Gullotti.
Commissione antimafia: “Né risulta accertata la presenza di Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto”.
L’Informazione: I magistrati e la Commissione antimafia sanno perfettamente che esiste un documento nel quale si fa cenno alla presunta presenza di Provenzano in quella città. In tale documento l’ex procuratore della Repubblica di Barcellona chiede ai carabinieri se è vero che il boss corleonese, durante la sua latitanza, si fosse nascosto per un certo periodo in un convento della cittadina tirrenica. La risposta misteriosamente non si trova. Le cose sono due: o non è mai stata data una risposta, oppure è stata insabbiata.
Luciano Mirone
5^ puntata. Continua
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