Commissione antimafia. Conclusioni: “Dall’esame degli atti finora disponibili, deve concludersi che, allo stato, non si evidenziano elementi sufficienti per ribaltare le risultanze raggiunte sino a oggi dall’autorità giudiziaria”.
L’Informazione: Purtroppo dobbiamo constatare che l’esame degli atti effettuato dalla maggioranza della Commissione parlamentare antimafia è assolutamente parziale e in molti casi arbitrario, con ricostruzioni prive di supporto scientifico che vanno sempre in un’unica direzione: quella del suicidio per overdose di eroina (la stessa teoria propugnata dai magistrati di Viterbo). La relazione ha ignorato tanti elementi – e nelle scorse puntate abbiamo cercato di spiegare quali – che avrebbero dovuto portare, quantomeno, a nutrire il beneficio del dubbio e quindi a contemplare la possibilità di un’ipotesi alternativa quali l’omicidio semplice (con movente da definire) o l’omicidio legato al coinvolgimento della vittima nell’operazione di cancro alla prostata di Provenzano nel 2003 a Marsiglia, come asseriscono i pentiti, i familiari del medico e tanti altri elementi mai presi in considerazione. In ognuno di questi tre casi – a prescindere da quello vero – un fatto è certo: le indagini e l’esame autoptico presentano tanti di quei buchi neri che un’inchiesta andrebbe aperta nei confronti degli inquirenti e del medico legale. E invece la Commissione antimafia neanche sfiora lontanamente l’argomento.
Commissione antimafia: “Deve tuttavia segnalarsi che le indagini svolte dalla procura della Repubblica di Viterbo, pur addivenendo a una ricostruzione aderente alle complesse risultanze investigative, furono svolte in maniera superficiale”.
L’Informazione: L’ennesima incredibile contraddizione in cui cade la Commissione dalla Bindi. Delle due l’una: o la Procura di Viterbo ha fatto una ricostruzione “aderente” ai fatti, oppure – come ha scritto la stessa – ha svolto delle indagini “superficiali”. Quello che colpisce è l’ambiguità dei firmatari del documento: da un lato si sottolinea la “superficialità” del modo di condurre le indagini (come se si volessero prendere le distanze dalle stesse), ma dall’altro se ne sposano i contenuti. Per dimostrare l’inadeguatezza dell’inchiesta, nelle righe successive, si aggiunge:
Commissione antimafia: “Tanto che le istanze degli inquirenti sono state oggetto di diversi rigetti e di sollecitazioni probatorie del giudice – né si conclusero, specie dopo le varie opposizioni della difesa e l’esplosione mediatica del «caso Manca», con un provvedimento articolato contenente una lettura organica e ragionata di tutto il materiale probatorio sì da fugare ogni dubbio”.
L’Informazione: Non ce ne vogliano gli estensori, ma troviamo questa parte della relazione involuta nella forma e nei contenuti, al punto da doverla leggere tante volte per comprenderne (forse) il significato. È vero che diverse richieste di archiviazione prive delle forme più elementari di indagini – basti pensare che per ben otto anni le siringhe (elemento fondamentale dell’inchiesta) non sono state neanche analizzate – sono state presentate più volte dalla Procura di Viterbo e rispedite al mittente dal Gip Gaetano Mautone. Ma è anche vero che, una volta cambiato il Gip, sono state accolte con tutti gli onori dal dottor Salvatore Fanti, in perfetta intesa con i procuratori che in questi quattordici anni si sono lasciati andare ad una ricostruzione così fantasiosa da fare invidia agli scrittori più affermati di romanzi surreali.
Commissione antimafia: “Allo stesso modo, la consulenza del medico legale, che, sin dall’inizio, avrebbe dovuto essere dirimente, è stata caratterizzata da gravi lacune e superficialità, che sono peraltro state confermate dalla stessa procura della Repubblica di Viterbo dinanzi alla Commissione e che hanno reso necessario richiedere integrazioni e delucidazioni e che hanno certamente contribuito ad alimentare incertezze e ipotesi alternative”.
L’Informazione: Riepiloghiamo. La Commissione antimafia bolla come “superficiali” i magistrati di Viterbo, i quali, a loro volta, bollano come “superficiale” (per le “gravi lacune” riscontrate) la consulente medico legale (la dottoressa Dalila Ranalletta) che hanno nominato loro stessi. In questo frangente assistiamo ad uno scaricabarile tipicamente italiano. Il fatto sarebbe divertente se non fosse tragico, poiché di mezzo c’è la vita di un brillante medico spezzata nel fiore degli anni. Diventa kafkiano quando la Commissione non solo non spiega di quali “gravi lacune” e di quali “superficialità” si tratta, ma difende a spada tratta la tesi dell'”inoculazione di eroina” tanto cara agli inquirenti di Viterbo, tacciati di “superficialità” dalla stessa Antimafia, che evidentemente non si rende conto che implicitamente sta autoaccusandosi delle stesse colpe, a maggior ragione quando dice che le “gravi lacune” e le superficialità” hanno “certamente contribuito ad alimentare incertezze e ipotesi alternative”.
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Una relazione che nella sua ambiguità ha una sua granitica coerenza con le linea tenuta dal ministro della Giustizia Andrea Orlando il quale, rispondendo all’interrogazione del senatore del M5S Vincenzo Maurizio Santangelo, non è riuscito ad andare oltre la “presa d’atto” dell’inchiesta di Viterbo, malgrado le evidenti anomalie emerse dallo studio degli atti processuali. E chissà – riportandoci ad alcuni anni fa – se questa straordinaria coerenza non sia collegata con il mancato scioglimento per gravissime infiltrazioni mafiose – come sancito dalla commissione prefettizia – del Consiglio comunale di Barcellona Pozzo di Gotto da parte dei governi di centrodestra e di centrosinistra.
Se si entrasse nel merito dell’indagine sulla morte di Attilio Manca si scoprirebbero tali e tante omissioni, tali e tante falsità, tali e tante bugie da mettere in dubbio la tesi ufficiale del suicidio per droga. La quale, come detto in una puntata precedente, non è da escludere a priori per la dinamica con cui si è svolta. Anzi, certi elementi possono anche non apparire peregrini, ma a condizione che siano supportati da prove certe, e al tempo stesso che non esistano elementi alternativi che portino a considerare altre ipotesi. Ma se il quadro viene sconvolto da un modo scandaloso di condurre le indagini, la tesi del suicidio perde peso specifico e prende corpo l’ipotesi che si voglia nascondere quella alternativa . E già questo è, di per sé, un fatto inquietante. Se ci chiediamo “perché”, ecco che la vicenda rischia di assumere risvolti che poco hanno a che vedere con lo Stato di diritto. Nel caso Manca le cose sono due: o alla base c’è davvero un banale suicidio per overdose (se ci fosse stato davvero avremmo assistito a questa situazione sudamericana? ), oppure il groviglio è talmente grosso da lambire le istituzioni che si coprono a vicenda per non arrivare alla verità.
Mentre fino a ieri eravamo convinti che ad avere un approccio “superficiale” e contrassegnato da “gravi lacune” fossero soltanto gli inquirenti e il medico legale di Viterbo, dopo aver letto questa relazione pensiamo che anche l’ex maggioranza di centrodestra e di centrosinistra presente in Commissione antimafia non sia immune dalle responsabilità che vengono attribuite ad altri. La lettura di questa relazione è davvero istruttiva perché ci fa capire tante cose.
Noi non vogliamo una verità priva di riscontri oggettivi, ma vogliamo “la” verità. Qualsiasi. Vogliamo sapere se Attilio Manca è morto suicida , se è morto per omicidio semplice, o se è morto per omicidio legato all’operazione di cancro alla prostata di Provenzano. Vogliamo saperlo con prove inoppugnabili e non con gli elementi prodotti in questi quattordici anni. Vogliamo sapere se la “superficialità” e le “gravi lacune” siano frutto di imperizia o di altro. Vogliamo sapere perché la Commissione antimafia ci ha consegnato una relazione così imprecisa, così incompleta, così piena di ricostruzioni arbitrarie. Vogliamo sapere perché per un documento così offensivo nei confronti della verità si sia reso necessario ricorrere alle “larghe intese”, al punto da costringere la delegazione del Movimento 5 Stelle in Commissione antimafia a prendere le distanze attraverso la stesura di un testo di minoranza. Aspettiamo ansiosi buone nuove da Roma, dove la Procura diretta da Giuseppe Pignatone ha chiesto al Gip l’archiviazione del caso. Speriamo che almeno quest’ultimo si ponga almeno qualche domanda.
Luciano Mirone
7^ puntata. Fine
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