A un certo punto Serafina Strano non ce la fa a continuare. Un nodo le si scioglie in gola, ed ecco che la rabbia scattata quella notte fra il 18 e il 19 settembre di un anno fa, quando fu violentata da un bruto, mentre svolgeva la sua professione di Guardia medica a Trecastagni (Catania), diventa tenerezza, una tenerezza che affiora quando le chiediamo quale è stata la cosa che le ha fatto più bene in questi trecentosessantacinque giorni: “I messaggi di molte pazienti, ma anche la solidarietà dei loro mariti”. Si ferma, inghiotte un po’ di saliva e continua. “Ricevere delle espressioni di solidarietà da parte degli uomini è una delle cose più belle e più significative che una donna che ha subito una violenza possa aspettarsi”.
Un’altra pausa: “Questo mi ha dato tanta forza”. Un pianto liberatorio che non siamo abituati a vedere in una donna che ai convegni, ai dibattiti e in parlamento, si dimostra forte, battagliera, grintosa, sorridente mentre parla di diritti e denuncia i vertici della sanità catanese, e non solo. E però in questo momento Serafina piange. Non quando ricorda la scena della violenza, ma quando parla di solidarietà e di amicizia. Le è capitato spesso, da quella sera, di piangere per le “tante cattiverie subite. E purtroppo le cose che mi fanno male continuano”.
Serafina Strano, le persone che le sono state più vicine?
“Sicuramente la mia famiglia, qualche collega compassionevole nel senso più profondo del termine, proprio perché lavorando in quel contesto, vivendo tutte le notti il terrore di essere aggredite, mi sono tanto vicine e fedeli. Perché un altro aspetto che mi dà tanta amarezza è che, malgrado l’apparente solidarietà da parte della società, non c’è stata una vera e propria vicinanza”.
Però, diciamo che un altro momento bello si è verificato lo scorso 25 novembre, in occasione della giornata internazionale dedicata alla donna, quando è stata invitata a parlare in Parlamento dall’ex presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini.
“E’ stata una giornata bellissima e intensa che ha superato le mie aspettative. Temevo che tutto si riducesse ad una celebrazione e ad una formalità, invece (e di questo ringrazio tantissimo Laura Boldrini) ho vissuto, insieme a tante donne invitate per l’occasione, quello che dovrebbero vivere quotidianamente ogni italiano e ogni italiana: sentirsi nel cuore delle istituzioni ed esprimere senza censure la propria libertà”.
Qual è la sua lotta dopo l’esperienza di un anno fa?
“Non posso accettare che ancora, malgrado le mie denunce, esista un servizio che è una vergogna del sistema sanitario nazionale: il sistema delle Guardie mediche, che deve essere riformato”.
Come?
“Devono essere chiusi tutti questi tuguri dove si lavora, deve essere ristrutturato il servizio, perché ci espone a questi rischi gravissimi e in più non offre all’utenza un’assistenza degna di un Paese moderno e civile. Ma deve essere riformato anche sul piano contrattuale: il medico che la gente trova nel tugurio viene pagato con 15 Euro l’ora, se si ammala non ha diritto a nulla e non può andare in ferie”.
Come è cambiata la sua vita in questi trecentosessantacinque giorni?
“Non ho più paura di esprimermi: anche se sono sempre stata abbastanza franca, ho sempre avuto il timore di protestare. Oggi no. Non mi fermo davanti a nulla”.
Dopo quella notte che compiti le sono state assegnati?
“Sembrerà incredibile, ma risulto ancora titolare della Guardia medica di Trecastagni. Sono stata vergognosamente ricollocata altrove, ma per motivi di salute, dato che non c’è una normativa specifica che regolamenta questa materia”.
Può spiegare meglio?
“Sono stata ricollocata in un altro servizio per due anni, con una certificazione fatta dalla commissione di verifica dell’ospedale militare del Celio di Roma. In teoria, allo scadere di questo biennio, dovrei essere rivalutata e potrei essere considerata nelle condizioni psicofisiche di tornare a lavorare in una Guardia medica”.
In questo momento che mansioni svolge?
“Un lavoro d’ufficio nell’ambito della medicina dei servizi, ma anche in un ufficio dell’Asp3 in un servizio di educazione alla salute”.
Il suo aggressore è stato processato?
“Sì, lo scorso 30 aprile. Ed è stato condannato ad otto anni di carcere”.
Cosa si sente di dire alle altre donne?
“Che bisogna finirla con la solite commemorazioni. Sono felice che per me non ci sia il solito mazzo di fiori davanti alla lapide”.
In che senso?
“Nel senso che quella notte c’è stato il rischio reale che venissi uccisa. Il mio aggressore era accecato da una furia animalesca. Non dico che mi abbia aggredita con l’intenzione di uccidermi, ma potevo rimanere uccisa se avessi avuto una reazione istintiva. Era in preda a un delirio momentaneo, ed essendo una persona che esercitava una fortissima forza fisica, avrebbe potuto uccidermi anche in maniera preterintenzionale”.
Cosa si augura?
“Che le mie battaglie e le mie energie non vadano sprecate. Continuo ad essere invitata a conferenze, ricevo spesso dei riconoscimenti, ma in concreto non è cambiato nulla. C’è un muro di gomma”.
Contro chi lotta?
“Desidererei che finiscano a processo anche i dirigenti dell’Asp corresponsabili di quello che è capitato a me. Le norme di sicurezza, anche quelle minime previste dalla normativa regionale, non c’erano. Che paghino anche per i continui attacchi e i continui tentativi di difesa a mezzo stampa che hanno fatto. Il paradosso è che io continuo a lavorare al fianco di questi dirigenti che ancora stanno al loro posto. Io devo essere risarcita, lo pretendo, così come debbono essere risarcite le vittime precedenti, come la dottoressa Anna Sciuto, una collega aggredita due anni fa, anche lei nottetempo, nella Guardia medica di Nicolosi. Non c’è stata una violenza sessuale, ma un tentativo di rapina, con gravissime lesioni personali. Allora non esisteva neanche il fantomatico braccialetto”.
L’ordine dei medici di Catania si è costituito parte civile contro il suo aggressore?
“L’ex presidente dell’Ordine dei medici (attualmente commissariato, ndr) inizialmente aveva dichiarato che lo avrebbe fatto, così come aveva fatto il direttore generale dell’Asp, mai poi entrambi hanno cambiato idea. Hanno pensato che si trattasse di una vicenda privata. Al processo sono andata da sola. Però è stato bellissimo che si sia costituita parte civile l’associazione femminile antiviolenza Calipso”.
Luciano Mirone
2^ puntata. Fine
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